Capire sé stessi
La scuola è un’istituzione in costante cambiamento. Sensibile alla trasformazioni sociali ed economiche, stimolata dalle esigenze psicologiche degli studenti, obiettivo di progetti politici, la scuola è un'istituzione che scommette su un possibile futuro a cui preparare i nuovi cittadini. Ma come farlo? Quali aspetti privilegiare?
Selezionando tra le molte suggestioni proposte negli ultimi anni, si può provare a individuare come filo rosso l’attenzione verso le competenze non curricolari.
Un primo passo può essere la riflessione comune a molti psicologi a proposito di un cambiamento profondo a livello familiare. Lo psicologo Daniele Novara (I bambini sono gli ultimi, Rizzoli, Milano 2020) parla di una perdita del ruolo educativo degli adulti, spinti a immedesimarsi nei bambini invece di distinguersi da essi. L’effetto ovvio è che diventa difficile diventare adulti perché mancano i riferimenti necessari.
Questa riflessione, anche se non strettamente pedagogica, presenta però un’implicazione significativa: sebbene la scuola non nasca con un ruolo educativo strictu sensu, essa finisce per svolgerlo ed è implicitamente chiamata ad ampliare i propri compiti.
Tra questi nuovi compiti un altro psicologo, l’americano David Goleman (in D. Goleman – Peter Senge, A scuola di futuro, Rizzoli, Milano 2014), ne individua alcuni che hanno a che fare con l’emotività e la conoscenza di sé. Dato che le emozioni forti danneggiano la concentrazione e la capacità di apprendimento, rafforzare l’attenzione verso sé stessi e la capacità di inibire le emozioni più forti incrementa la qualità dell’istruzione. Goleman definisce la propria prospettiva una educazione sociale ed emotiva. Egli si concentra soprattutto su situazioni periferiche degli Stati Uniti dove i conflitti sociali sono una ragione di insuccesso scolastico. Tuttavia, in prospettiva, il suo invito può essere esteso ad altre situazioni, dove le emozioni più potenti come la rabbia o gli stati d’ansia sono frequenti.
Capire il contesto
Se c’è un aspetto che collega alcune delle prospettive più attuali della pedagogia, questo è in effetti l’invito a sviluppare una intelligenza emotiva e una capacità di relazionarsi con sé stessi e con gli altri. Al fondo di queste tendenze vi è l’assunto che un apprendimento efficace dipende dal contesto e dallo stato d’animo dello studente.
Tale assunto è ribadito e amplificato dalla prospettiva della pedagogia interculturale. Essa si fonda sulla constatazione dei profondi mutamenti demografici in corso nel nostro e in altri paesi e sulla necessità di porsi in relazione con la diversità culturale. Le proposte della pedagogia interculturale fanno della diversità e dell’accettazione dell’altro il proprio fulcro. Andando, però, oltre la semplice accettazione di studenti di origine straniera, questo orientamento insiste sulla virtù dell’ascolto empatico e del decentramento (la non assolutizzazione del proprio punto di vista). A questo proposito Agostino Portera (in Educazione e pedagogia interculturale, Il Mulino, Bologna 2022) parla di una vera e propria forma mentis interculturale, che deve stare alla base dell’atteggiamento degli insegnanti e che dovrebbe essere trasmessa agli studenti.
Capire cosa fare
Con qualche forzatura, possiamo ricondurre queste due prospettive (l’intelligenza emotiva e la capacità di esser empatici) alla valorizzazione di due intelligenze della celebre tassonomia di Howard Gardner, quella intrapersonale (la comprensione di sé) e quella interpersonale (la comprensione degli altri). Entrambe risultano fondamentali in una importante innovazione in fase nascente del nostro sistema scolastico, quella dell’orientamento.
Approccio usato nel mondo del lavoro a supporto di chi fatica a strutturare una carriera coerente, questa prospettiva potrebbe mostrarsi utile anche a scuola per stimolare negli studenti la maturazione di una piena consapevolezza di sé e delle proprie capacità. Si tratta di un’idea che emerge dal confronto con vari modelli di orientamento (i più recenti dei quali ispirati alla corrente psicologica del costruzionismo). In questo senso l’orientamento è una pratica che tocca il nucleo profondo di una persona, la sua identità, le sue difficoltà ricorrenti, il modo in cui si percepisce negli ambienti di studio e di lavoro.
Riflettendo su questo Guglielmi e Chiesa (autori di Orientamento scolastico e professionale, Il Mulino, Bologna 2021) mettono in rilievo il valore di un approccio narrativo, dove il soggetto è aiutato a ricostruire la propria vita per capire dove indirizzarla. Una strategia che pare attuabile anche nel contesto scolastico dove un ragazzo o una ragazza sono spinti a riflettere sul proprio percorso.
La scuola, in questa ottica di orientamento, sembra poter svolgere un ruolo a un doppio livello: innanzitutto, fornendo informazioni sulle opportunità di istruzione ai livelli secondario e terziario e in secondo luogo intensificando il potenziale di orientamento insito nei metodi e nei contenuti didattici per spingere gli studenti a capire se stessi. La chiave didattica di questa azione sarebbe un surplus di intenzionalità educativa, dice la pedagogista Antonia Cunti (In Aiutami a scegliere, Franco Angeli, Milano 2008).
In conclusione, quasi come contraltare alla diffusione delle tecnologie informatiche e dei saperi settoriali, le scienze dell’educazione ci ricordano che qualsiasi percorso formativo parte dei bisogni di una persona, che è influenzata dal contesto familiare e sociale, ma che è anche capace, in una certa misura, di modificare se stessa e il mondo. Esse ci ricordano inoltre che capire se stessi e gli altri è importante tanto quanto capire le normali materie di studio.
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