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Cinema e cambiamento climatico

Da ...e la terra prese fuoco a Una scomoda verità, Luigi Paini ci accompagna attraverso i film e i documentari che hanno raccontato l'emergenza del cambiamento climatico, privilegiando la scelta di "pellicole a soggetto", e passando anche per i film di animazione e un classico di Vittorio De Sica. Raccontare eventi traumatici estremi attraverso il cinema è un modo per lanciare un messaggio forte: riusciremo a sopravvivere all'incombente catastrofe?

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Che strana cosa è il cinema. Un film a soggetto “si inventa” tutto, eppure riesce (perlomeno nei casi migliori) a comunicarci verità profonde; un documentario si propone come lo specchio fedele della realtà e invece, troppo spesso, si rivela opera di propaganda, di messaggi a senso unico. È davvero una caratteristica propria del “mezzo” cinema: mentre la lettura di un saggio scritto ci permette di soffermarci, di pensare, di controllare, il film scorre in modo irreversibile. Così, nelle opere di finzione, le emozioni suscitate sono congrue al raggiungimento del fine, alla comprensione di un sapere superiore; nel documentario lo spettatore rischia di essere investito dalle cifre, dalle interviste, dai grafici, dalle immagini shock. E conta solo fino a un certo punto la buonafede degli autori, il pericolo è proprio nella struttura del “medium”. Ed è per questo motivo che, pur avendo a disposizione un gran numero di documentari sul tema urgentissimo del riscaldamento climatico, abbiamo privilegiato in questa scelta le pellicole “a soggetto”. Alla coscienza di ognuno, dopo la visione, il compito di trarre le conclusioni.  

…e la Terra prese fuoco, di Val Guest, Gran Bretagna 1961

Un titolo, un programma. Già nel lontano 1961, dunque, serpeggiava la paura che il nostro Pianeta potesse surriscaldarsi fino a rendere la vita impossibile ai suoi abitanti. Allora l’incubo dell’innalzamento della temperatura si accompagnava a un altro scenario, se possibile, ancora più tragico: quello della concreta eventualità di un’apocalisse nucleare. Si era al culmine della Guerra  Fredda:  Unione Sovietica e Stati Uniti, mentre si confrontavano a muso duro in diversi conflitti locali combattuti con armi tradizionali, “mostravano i muscoli” facendo esplodere enormi ordigni atomici, migliaia di volte più potenti delle bombe che avevano distrutto Hiroshima e Nagasaki al termine della Seconda guerra mondiale. Ed è appunto da questo scenario che prende spunto il film: i devastanti esperimenti condotti da sovietici e americani hanno finito per spostare l’asse terrestre, causando un repentino e catastrofico aumento delle temperature. La storia è raccontata “a ritroso”, con il procedimento del flashback: come si è arrivati a una situazione tanto tragica? E ci sono ancora speranze per salvare la Terra? In realtà, gli scienziati pensano che, con ulteriori esplosioni atomiche controllate, si possa tornare a una situazione di normalità. Intanto, però, l’umanità vive nel terrore: mancano ormai pochi minuti all’ora X…

The Day after tomorrow  - L’alba del giorno dopo, di Roland Emmerich, Usa 2004

Dal surriscaldamento alla glaciazione, due facce della stessa medaglia: la causa è sempre la medesima, l’effetto serra causato dalle attività sconsiderate dell’umanità. In seguito all’aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, il clima sta irrimediabilmente cambiando (in peggio). Non basta che molti scienziati lancino allarmi su allarmi nei confronti dei politici: chi sta nei posti di potere non vuole credere all’approssimarsi del disastro, e anzi irride i “profeti di sventura”. Il film di Emmerich appartiene al filone fantascientico-catastrofico, e dunque lo scopo principale della produzione, costata la consueta montagna di dollari, è quello di colpire gli spettatori con straordinari effetti speciali. Ma al di là della costruzione kolossal, al di là di diverse ingenuità di sceneggiatura, la pellicola fa perno su una paura diffusa, quella di vedere la Terra sconvolta da eventi climatici estremi, scatenati dall’insipienza umana. Questa volta, però, siamo alla vigilia, paradossalmente, di una nuova, repentina era glaciale, che costringe i superstiti abitanti degli Stati Uniti a trovare rifugio verso Sud, in Messico. Una biblica migrazione, mentre New York e le altre metropoli sono nella morsa dei ghiacci. E ora, finalmente, anche i politici si renderanno conto che è arrivato il momento di cambiare radicalmente il nostro stile di vita?

L’era glaciale 2, di Carlos Saldanha, Usa 2006

Quando la preistoria ci parla di oggi. Il cinema d’animazione è stato, in questi ultimi decenni, attentissimo agli umori e alle ansie dei nostri tempi: grazie alla sua totale libertà d’azione, alla possibilità di usare ogni artificio narrativo, anche il più apparentemente inverosimile, ha scatenato in ogni direzione la fantasia degli autori. Qui ritornano i simpaticissimi personaggi della prima puntata,  il bradipo Sid, la tigre dai denti a sciabola Diego, il mammut Manny e, ovviamente, lo scoiattolo Scrat, questa volta alle prese con un improvviso e potenzialmente catastrofico scioglimento dei ghiacci. Insomma, anche nei tempi più remoti i cambiamenti climatici (il rimando ai nostri giorni è trasparente) sconvolgono la vita sul pianeta Terra. Le modalità narrative dei “cartoons” impongono gag a raffica, senza un attimo di respiro: la trama lineare (la ricerca della salvezza) si intreccia a una miriade di situazioni che mischiano suspense e comicità, una sorta di adrenaliniche montagne russe che sembrano non avere mai fine. Una cosa è certa fin dall’inizio, perché fa appunto parte delle convenzioni del genere: gli eroi si salveranno (mica può morire un “cartone animato” così simpatico!) eppure i continui pericoli cui sono esposti riescono a farci temere per loro. E intanto, sotto sotto, ci viene da pensare: saremo così fortunati come loro anche noi umani, di fronte alla catastrofe ecologica che sembra incombere sulle nostre teste?

Una scomoda verità, di Davis Guggenheim, Usa 2006 / Una scomoda verità 2, di Bonni Cohen, Jon Shenk, Usa 2017

Eccolo, il documentario. Almeno questo non poteva mancare. Perché è il documentario numero uno, sull’argomento, quello che ha fatto più rumore, quello che davvero ha cercato di dare la sveglia agli spettatori, e di conseguenza ai politici, di tutto il mondo. Ed è proprio a un ex politico di primo piano, il più impegnato sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici, che il film dà voce: Al Gore, ex vice di Bill Clinton alla Casa Bianca, propugnatore da sempre di un’azione decisa in favore della conservazione della natura e di un cambiamento radicale nelle scelte globali di politica economica. Il documentario è del 2006, la lotta di Gore comincia addirittura decenni prima: il mondo sta andando incontro alla catastrofe, l’effetto serra aumenta, i ghiacci si sciolgono, gli oceani si alzano di livello, gli eventi atmosferici estremi diventano sempre più frequenti. E allora, che cosa aspettano i potenti a intervenire? Le posizioni di Gore, che hanno ispirato moltissimo gli ambientalisti di tutti i Paese, vengono sottolineate in maniera drammatica da immagini che ci colpiscono nel profondo. Ma forse è proprio qui il limite principale di un’operazione come questa (e in parte anche del suo seguito, Una scomoda verità 2, del 2017): un eccesso di “estetica televisiva”, un crescendo di “pugni nello stomaco” che rischiano di sfruttare al massimo l’emotività, rendendo problematico per lo spettatore un approccio più razionale al problema. Ma resta la sua importanza come primo approccio, base di partenza per discussioni successive e più approfondite.

Il giudizio universale, di Vittorio De Sica, Italia 1961

E questo film che cosa c’entra? Nella pellicola di Vittorio De Sica, sceneggiata dal geniale Cesare Zavattini, in verità sembrerebbe non esserci traccia di riscaldamento climatico. C’è però la paura dell’Apocalisse, della fine del mondo che sta per arrivare. Anzi, è imminente: viene annunciata da un voce minacciosa che scende dal cielo, e che addirittura ne indica l’inizio alle sei del pomeriggio. E allora il film è un susseguirsi ininterrotto di veloci gag, innescate da questo incipit surreale (tipico della poetica di Zavattini, appunto). Come reagiscono gli abitanti delle varie città del mondo? E in che forma si presenterà questa incombente fine del mondo? Sono scenette veloci, piene di umorismo folle, che suscitano un riso nervoso, perché ci rendiamo conto che, sotto la patina del divertimento, si insinua un’angoscia strisciante, profonda. La data di produzione del film è la stessa di …e la Terra prese fuoco, quel 1961 in cui la paura dell'apocalisse nucleare era al suo apice. Ma mentre nel film inglese tutto si giocava sulla suspense e sul terrore, qui si cerca il tono leggero. E, alla fine, al posto della palla di fuoco, arriva una pioggia torrenziale, una sorta di diluvio biblico come quelli immaginati da Una scomoda verità. La Terra sarà distrutta o purificata dalla pioggia incessante? Sessant’anni sono passati da allora, le ragioni della paura sono cambiate, ma l’umanità non ha smesso di chiedersi se il pianeta può avere un futuro davanti a sé.

Crediti immagini: Peter Zurek - Shutterstock

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