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Cinema e speranza

Luigi Paini propone una rassegna composta da cinque film italiani sulle speranze, sulle illusioni e anche sulle disillusioni che hanno interessato alcuni momenti cruciali della storia d’Italia. 

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Per una volta parliamo solo di film italiani. La proposta è quella di una piccola antologia del nostro cinema, a partire dal dopoguerra, seguendo le trasformazioni che il concetto di speranza ha incontrato nella società e sul grande schermo. L’Italia, alla fine della Seconda guerra mondiale, era letteralmente distrutta: città sventrate dai bombardamenti, famiglie devastate dai lutti, nessuna speranza nel futuro. Nel 1945 nessuno poteva “sperare” che le persone uscite piegate dalla Seconda guerra mondiale sarebbero riuscite a risollevarsi.

Eppure… eppure, nel giro di pochissimi anni l’Italia fu in grado di stupire il mondo. Preceduto dalla straordinaria fioritura del cinema, il “neorealismo” osannato in tutto il mondo, il Paese iniziò una formidabile ricostruzione, culminata nei cosiddetti “anni del boom economico”: nuove industrie, ferrovie, autostrade, voglia di fare.

L’Italia del 1960, pur continuando ad avere gravi problemi (primo fra tutti l’emigrazione dalle regioni più povere, a partire dal Mezzogiorno) era tutt’altra cosa dall’Italia di soli 15 anni prima. Tutto questo il nostro cinema è stato in grado di raccontarlo, costituendo un’insostituibile memoria storica.

Scegliamo dunque cinque esempi, tra film popolari e pellicole più “sofisticate”, in grado di raccontarci la “speranza” (e anche le disillusioni) che segnarono quel periodo. Iniziando però da un grande successo dei nostri giorni….

C’è ancora domani, di Paola Cortellesi, Italia 2023

Già il titolo ci parla di speranza: quel “domani”, preceduto da “ancora”, suggerisce un futuro non più dominato dalla paura, ma da una possibilità di luce, di nuovo, di positivo. Il film di Paola Cortellesi, coraggiosissimo nel proporsi in un bianco e nero assolutamente inattuale, riesce a trasportarci nel clima del dopoguerra, nella sua povertà assoluta e, insieme, nella sua fiducia nella possibilità di un cambiamento. Lo fa dal punto di vista di una donna del popolo, esclusa fino a quel momento dalla partecipazione politica. Per la prima volta, infatti, si chiama a votare anche “l’altra metà del cielo”. Monarchia o Repubblica? Il 2 giugno del 1946 la decisione viene presa non solo dai maschi, ma anche dalle fidanzate, dalle mogli, dalle sorelle. E questo rappresenta un fortissimo elemento di speranza, la fiducia in un cambiamento radicale non solo della politica, dopo il ventennio del regime fascista, ma anche (e forse soprattutto) della struttura profonda della società. Le donne iniziavano a pensare per conto loro, a decidere per conto loro, a rivendicare la propria indipendenza: la sequenza finale, intelligentemente preparata “ingannando” gli spettatori, comunica forza e voglia di vivere. Il successo, enorme, di pubblico della pellicola di Paola Cortellesi dimostra che il tema affrontato è quanto mai attuale. Insieme, ovviamente, alla immutata voglia di speranza.

Il cammino della speranza, di Pietro Germi, Italia 1950

 Quando a fuggire dalla miseria eravamo noi italiani. Stavolta il film non è una ricostruzione di quegli anni terribili, come nel caso di “C’è ancora domani”: è proprio una testimonianza “in presa diretta”, un documento (anche se non un documentario) girato a stretto contatto con la realtà descritta. Quelli interpretati dagli attori, alcuni dei quali all’epoca molto famosi, sono fatti veri, allora all’ordine del giorno. Masse di persone che, partendo dagli angoli più poveri del nostro Paese, cercavano in tutti i modi di andare all’estero illegalmente, per cercare un lavoro e un futuro più dignitoso. Un “cammino della speranza”, appunto, in questo caso dalla Sicilia alla Francia, passando per varie città italiane, affrontando incredibili disavventure, sempre sull’orlo del fallimento. Chi riuscirà a varcare la frontiera, eludendo la sorveglianza delle forze dell’ordine? Chi sopravviverà alla fatica della traversata delle Alpi, coperte dalla neve. Eppure, ciò che si lascia è così orribile che qualsiasi prospettiva futura sembra migliore. L’Italia del boom non è ancora arrivata, emigrare è la sola speranza, pur con tutti i pericoli, anche mortali, che questo comporta. Più di settant’anni dopo il film conserva la sua tragica attualità, se pensiamo alla “disperata speranza” che anima i migranti che arrivano in Europa in fuga dalla guerra e dalla miseria dei  loro sventurati Paesi.

Due soldi di speranza, di Renato Castellani, Italia 1952

Ancora (e tre!) l’Italia “in bianco e nero”. Stavolta, però, niente più fosche tinte drammatiche. I tempi stanno cambiando, al filone del neorealismo, che aveva raccontato la profonda sofferenza del nostro Paese, subentra quello che verrà chiamato “neorealismo rosa”. Dove è l’aggettivo “rosa” a dire tutto: il dolore si stempera, la speranza in un futuro migliore permette di “riderci sopra”, la tragedia lascia il posto alla commedia. Nel piccolo paesino nei pressi di Napoli in cui è ambientata la vicenda, infatti, non è che i problemi e la povertà siano scomparsi, anzi… Ma il clima generale è di allegria, si può e si deve cambiare, e il ruolo di protagonisti è assunto da due giovani, un ragazzo appena tornato da militare e la sua vispa ragazza, che tentano in tutti i modi di liberarsi dai lacci del durissimo passato per conquistarsi una vita tutta loro. Lui fa mille lavori precari, non si scoraggia mai, di giorno frequenta il parroco e di notte (di nascosto) la sezione comunista. Lei ha una vitalità che niente può sconfiggere, una voglia di raggiungere i suoi obbiettivi che, possiamo immaginarlo, avrà dato la scossa a tutto il pubblico femminile dell’epoca. I “Due soldi di speranza “ del titolo potranno anche essere pochini, ma sicuramente meglio, molto meglio del niente di prima…

E venne un uomo, di Ermanno Olmi, Italia 1965

Alla fine degli anni 50 un vento nuovo comincia a soffiare non solo sull’Italia, ma sul mondo intero. Da noi il boom economico sta raggiungendo il suo massimo, pur tra infinite contraddizioni: il Sud continua ad arrancare, ma al Nord le ciminiere delle fabbriche fumano a tutto regime. Motorizzazione di massa, emigrazione fortissima verso le grandi città, inizio della fine della secolare civiltà contadina , nuovi bisogni e nuovi problemi. Ma anche tante nuove speranze. La Chiesa Cattolica, in un primo momento timidamente poi sempre più con forza, registra questo cambiamento. Soprattutto perché arriva l’uomo al quale si riferisce il titolo, il nuovo Papa Giovanni XXIII, il “Papa Buono”, eletto nel 1958. Il suo breve pontificato, destinato a finire nel 1963, si caratterizza per un incredibile incentivo al rinnovamento, sotto il segno della Speranza (con la “S” maiuscola). La sua mossa principale è la riunione dei vescovi di tutto il mondo per partecipare al Concilio Vaticano II, destinato a cambiare radicalmente il volto della Chiesa. L’uomo si chiamava in realtà Angelo Giuseppe Roncalli, era di origine umile e nella sua vita aveva attraversato le maggiori tragedie del Novecento. È di questa sua profonda umanità che il film di Ermanno Olmi dà conto. Il ritratto di una persona semplice, volitiva, convinta di avere un compito immenso da portare a termine. Dopo il suo pontificato, il mondo non sarebbe più stato quello di prima.

Speriamo che sia femmina, di Mario Monicelli, Italia 1986 

Un bel balzo in avanti, fino agli anni ‘80. Abbiamo cominciato con le donne, finiamo con le donne (a colori!). La spinta, che sembrava inarrestabile, dell’economia e della società italiane del dopoguerra si è esaurita verso la fine degli anni 60. Il decennio successivo, oppresso dal terrorismo, è stato vissuto in modo totalmente negativo (i terribili “Anni di piombo”). Ora siamo nel bel mezzo degli anni ‘80, a dominare è la disillusione, le speranze accese dalla ricostruzione postbellica prima e dai sommovimenti del ’68 sono scomparse. Ci si rifugia nel privato, nel sogno dell’arricchimento individuale, cercando di non farsi travolgere da noia e stanchezza. E dunque, a chi può passare la fiaccola della speranza? La risposta di Monicelli, uno dei maggiori protagonisti della più bella stagione del cinema italiano, è univoca ed è ancora una volta tutta contenuta nel titolo: “Speriamo che sia femmina”. I maschi hanno detto la loro, hanno fatto cose importanti nel passato ma ora sono spompati, senza idee propositive, è giunto il momento di lasciare il passo alla metà femminile del mondo. In una grande e bella tenuta di campagna si confrontano i componenti di una grande famiglie. Uomini svitati e vanesi, con progetti tanto grandiosi quanto vacui; donne concrete, legate alla vita, decise a non farsi mai più mettere i piedi in testa. Una di loro porta una nuova vita in grembo: speriamo che sia femmina, appunto!


Crediti immagine: Peter Zurek – Shutterstock

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