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2. GLI ANTECEDENTI E LE CAUSE DELLA CRISI

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Le ragioni più profonde della crisi. Per comprendere le ragioni più profonde di quanto sta accadendo in questi ultimi mesi in Ucraina è necessario ripercorrere per sommi capi la storia della secolare dipendenza del paese dal gigante russo e poi sovietico, e quindi la vicenda incerta e oscillante della sua parabola «post-sovietica». Senza questa e­sperienza di più lungo periodo, infatti, gli eventi più recenti risulterebbero in larga misura incomprensibili.
L’Ucraina sotto il dominio russo e poi sovietico. I territori dell’attuale Ucraina sono stati per secoli, in tutto o in parte, sotto il dominio dell’Impero russo, che proprio a Kiev, tra il IX e il X secolo, ebbe le sue prime origini. A partire dall’ultimo quarto del Settecento, con le spartizioni della Polonia (1772-1792), essi furono integrati in parte nell’impero zarista e in parte nell’impe­ro asburgico. Tra il 1918 e il 1919, quando la rivoluzione bolscevica e la prima guerra mondiale distrussero i due vecchi imperi, essi ottennero per breve tempo l’indipen­denza. Ma già nel 1922 entrarono a far parte della neonata Unione Sovietica (Urss). L’Ucraina divenne allora una delle 15 Repubbliche socialiste sovietiche. E tale rimase, con la tragica parentesi dell’occupa­zione nazista durante la seconda guerra mondiale, fino al 24 agosto 1991. Fu allora, nel quadro dell’ormai incipiente tracollo dell’Urss (consumatosi definitivamente il 25 dicembre 1991), che essa proclamò la propria indipendenza entrando poi a far parte, come membro associato, della Comunità degli Stati Indipendenti (Csi). La lunga sudditanza nei confronti della Russia e poi dell’Unione sovietica, da cui trassero alimento nel corso del tempo robusti movimenti nazionalisti, spiega alcune importanti premesse della radicata ostilità dell’Ucraina nei confronti del suo ingombrante vicino, che è oggi la Federazione russa. Al tempo stesso, però, essa spiega anche i legami profondi – politici, economici e anche culturali – che continuano a sussistere tra i due paesi. Non solo tra le élites che li governano. Ma anche tra le rispettive popolazioni. Si pensi, ad esempio, alla consistente minoranza russa (oltre il 20% della popolazione totale) che oggi vive nelle regioni orientali del paese, a est del fiume Dniepr, e soprattutto in Crimea, una regione russa che gli stessi sovietici, per rafforzare le relazioni reciproche, cedettero e inglobarono all’Ucraina nel 1954. Si pensi, poi, alla diffusione della lingua russa, che fino al principio degli anni Novanta è stata la lingua ufficiale del paese e che, anche dopo l’adozione dell’ucraino, è rimasta una lingua ampiamente parlata nelle stesse regioni occidentali, in un quadro di consolidato bilinguismo. Si pensi, soprattutto, ai rilevantissimi interessi economici che legano a doppio filo i due vicini: l’Ucraina alla Russia per l’approvvi­giona­mento energetico e la Russia all’Ucraina per gli immensi gasdotti che portano il gas russo in Europa.
L’Ucraina post-sovietica. Tra Russia ed Europa. È soltanto con la proclamazione dell’indipendenza e poi con la dissoluzione dell’Urss, ad ogni modo, che i rapporti tra Ucraina e Russia cessarono di essere un «destino» e divennero invece un «problema». Ed è in questo quadro, che la prima cercò di controbilanciare la pesante influenza della seconda aprendosi a un nuovo corso di relazioni con l’Europa e con gli stessi Stati Uniti. Questo processo, tuttavia, fu tutt’altro che lineare. Agli inizi della storia post-sovietica dell’Ucraina, sotto la presidenza dell’ex leader comunista Leonid Kravchuk (1991-1994), esso fu pesantemente condizionato dagli enormi problemi posti dalla spartizione della flotta militare ex-sovietica in Crimea e dallo smantellamento degli arsenali nucleari ex-sovietici di stanza nel paese. Essi crearono gravi tensioni sia con la Russia sia con gli Stati Uniti, ma si risolsero poi, dopo diverse resistenze, durante la lunga presidenza – durata due mandati – di Leonid Kuchma (1994-2005): nel primo caso con una soluzione negoziata con la Russia, nel secondo caso con l’accettazione dei forti incentivi economici che il presidente statunitense Bill Clinton aveva offerto all’Ucraina in cambio del disarmo. La presidenza Kuchma mostrò in modo molto chiaro le contraddizioni, i vincoli e le oscillazioni dell’Ucraina post-sovietica. Una delle sue principali pre­occupazioni fu quella dello sviluppo economico del paese, che tuttavia non riuscì a decollare in maniera significativa nonostante gli aiuti provenienti dall’este­ro. Sul piano politico, Kuchma fece approvare nel 1996 una riforma costituzionale che, nel quadro di un sistema politico di tipo semipresidenziale, ampliò i poteri del presidente della repubblica a scapito di quelli del primo ministro e del parlamento, dando un’impronta autoritaria al proprio regime. Nello stesso tempo, per favorire il processo di distensione con la Russia e neutralizzare le tendenze separatiste della Crimea, egli concesse alla regione lo statuto di repubblica autonoma, pur rafforzando di fatto il controllo dei poteri centrali su di essa. Kuchma, ancora, favorì i rapporti con i paesi europei, con l’Ue e con la stessa Nato. Ma alla fine del suo secondo mandato, nel 2004, appoggiò la candidatura del filorusso Viktor Yanukovich alla presidenza della repubblica, contro il suo antagonista filoccidentale Viktor Yushenko. Le elezioni, celebrate in novembre, furono vinte da Yanukovich. Ma i loro risultati vennero contestati da Yushenko, che denunciò gravi brogli elettorali. Prese corpo allora un vasto movimento di scioperi e manifestazioni, la cosiddetta «rivoluzione arancione». Sotto la pressione della piazza le elezioni furono invalidate e poi ripetute in dicembre, e portarono alla presidenza della repubblica Yushenko (2005-2010), favorevole all’integra­zione dell’Ucraina nella Ue e nella Nato, che fece rilevanti progressi. Sull’onda della «rivoluzione arancione» i poteri e le prerogative del presidente furono riequilibrati rispetto a quelli del parlamento e del primo ministro. Durante il mandato di Yushenko, tuttavia, la situazione politica e soprattutto economica rimase precaria, generando una vasta insoddisfazione nel paese, sull’orlo della bancarotta anche per effetto della grande crisi economica mondiale partita nel 2007 dagli Stati Uniti, che ha aggravato una crisi industriale perdurante dalla fine dell’era sovietica. Il risultato fu che alle elezioni presidenziali del 2010 risultò vincitore il suo vecchio rivale filorusso Viktor Yanukovich. Furono le sue scelte politiche a porre le più immediate premesse dell’attuale crisi ucraina. Il presidente, infatti, annullando i più importanti risultati della «rivoluzione arancione», provvide innanzitutto a ristabilire le prerogative presidenziali dell’era Kuchma, imprimendo una decisa svolta autoritaria al suo regime. Egli, poi, a fronte anche delle profferte non troppo attraenti dell’Ue, rafforzò i legami con la Russia di Putin, manifestando un crescente interesse per il progetto della cosiddetta «Unione euroasiatica», vale a dire di uno spazio economico e politico comune costruito, sotto l’egemo­nia russa, sul modello dell’Ue e in alternativa ad essa. Nel contempo, Yanukovich diede un duro colpo ai rapporti del paese con l’occi­dente. Dapprima bloccando le trattative in corso sin dal 2002 per l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. E poi annunciando di non voler più dare seguito ai negoziati per l’avvicinamento dell’Ucraina all’Ue. Fu quest’ulti­mo atto la causa più immediata della crisi che è poi esplosa nel paese.

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