Democrazia rappresentative e democrazia diretta
Chi non ha mai provato una sensazione di delusione nei confronti dei propri governanti? Chi non si è mai trovato a nutrire dubbi sull’operato di qualche amministratore locale?
La crescente percentuale degli astenuti in occasione delle consultazioni elettorali testimonia il dilagare nella società civile di un sentimento di distacco, sfiducia e indifferenza infilatosi come un cuneo tra governanti e governati, tra il paese legale e il paese reale, tanto da rendere sempre meno attraenti anche le occasioni nelle quali veniamo direttamente chiamati a esprimere la nostra opinione tramite il voto.
Per una parodia sullo scetticismo maturato nei confronti delle consultazioni elettorali ascolta il brano al link che segue:
In una parte non indifferente del corpo elettorale sembrerebbe dunque tornata di grande attualità quella critica alla democrazia rappresentativa britannica avanzata nel XVIII secolo da J.J. Rousseau, secondo il quale la libertà vantata dagli inglesi per il fatto di scegliere i loro rappresentanti non durava che lo spazio della giornata elettorale. Negli anni che separavano un’elezione dall’altra, obiettava il filosofo francese, il popolo tornava a sottomettersi passivamente al potere politico senza alcuna possibilità di intervento sul piano decisionale.
Al di là del sarcasmo polemico, le affermazioni di Rousseau andavano a toccare un punto nodale del sistema democratico rappresentativo, nel quale la sovranità popolare viene delegata dagli aventi diritto al voto ai propri rappresentanti fino alle elezioni successive, sollevando questi ultimi dall’obbligo di rispondere direttamente del proprio operato di fronte agli elettori per tutta la durata dell’incarico.
In opposizione a tale principio, la contestazione di Rousseau aveva quale fulcro proprio il principio della delega ossia della rappresentanza poiché, come affermava nella celebre opera Il Contratto sociale, “La sovranità non può essere rappresentata per la medesima ragione per cui non può essere alienata; essa consiste essenzialmente nella volontà generale, e la volontà non si rappresenta […] I deputati del popolo non sono dunque, né possono essere, i suoi rappresentanti, ma soltanto i suoi commissari: non possono concludere nulla in maniera definitiva. Ogni legge che il popolo in persona non abbia ratificata è nulla, non è una legge.”
In questo passaggio è contenuta l’essenza del concetto di “democrazia diretta”, una forma di governo antichissima, il cui modello è tornato d’attualità nella vita politica di molti paesi, a cominciare dall’Italia.
All’ombra del Partenone
La democrazia diretta si realizza dunque quando ogni singolo individuo partecipa alla vita politica della comunità cui appartiene esercitando direttamente il potere decisionale. Questo è ciò che era accaduto ad Atene tra il V e il IV secolo a.C., quando tutti i cittadini maschi, liberi e maggiorenni riuniti in assemblea (ecclesia) approvavano con il voto le scelte più importanti per la comunità, le leggi che avrebbero governato la polis e l’allontanamento (ostracismo) dei membri dell’ecclesia giudicati responsabili di gravi colpe. Perfezionata dalle riforme di Efialte e di Pericle, l’esperienza democratica ateniese entrò in crisi alla morte di quest’ultimo, per poi concludersi definitivamente quando, nella seconda metà del IV sec a.C., l’affermazione dell’egemonia macedone sulla penisola greca pose fine all’età delle poleis. Per più di mille anni quel modello di governo resterà sepolto sotto il crollo, la rinascita e il nuovo crollo di grandi imperi e di piccoli regni, ma l’ideale egualitario de esso proposto continuerà a rappresentare nell’immaginario collettivo dei popoli europei una meta da raggiungere, un esperimento da ritentare, un sogno da realizzare.
Forme di democrazia diretta comparvero infatti nuovamente al tramonto del Medioevo nell’Italia dei comuni, quando l’agorà ateniese rinacque nelle piazze dei piccoli e grandi centri della penisola dove i cittadini, liberatisi dal giogo feudale e riuniti in assemblea plenaria, decidevano la guerra o la pace e approvavano le leggi per il governo della città. I fondamenti del pensiero di Rousseau troveranno ampio riconoscimento nella Francia rivoluzionaria attraverso la Costituzione giacobina del 1793, che garantiva agli elettori vasti margini di controllo sull’attività legislativa. Principi di democrazia diretta, in particolare la revocabilità del mandato conferito agli eletti, riemergeranno ancora nel 1871 con la proclamazione della “Comune” in una Parigi accerchiata dalle armate prussiane e ispireranno qua e là tanto le deliberazioni dei Soviet che animarono la Rivoluzione bolscevica quanto i conati rivoluzionari consumatisi in Germania, Italia e Ungheria all’indomani della Prima guerra mondiale.
A ben vedere, in nessuno degli esempi sopra riportati l’ideale egualitario promesso dalla democrazia diretta raggiunse però forma davvero compiuta, restando piuttosto sospeso tra aspirazione e minaccia, a seconda dell’angolatura dalla quale esso veniva osservato. Nel comune medievale la disparità di influenza politico-decisionale tra il ceto mercantile e le masse popolari rimase sempre assai consistente e si allargò progressivamente, mentre l’affermazione delle signorie agli albori dell’età moderna pose una pietra tombale su ogni esperimento di democrazia diretta. Nella Francia rivoluzionaria il clima di emergenza generato dalla minaccia straniera ostacolò l’entrata in vigore della Costituzione del 1793, che venne poi del tutto accantonata con l’avvento del regime del Terrore e la successiva reazione termidoriana. Brevissima fu l’esperienza della “Comune di Parigi” (appena due mesi), e altrettanto effimeri si rivelarono gli esperimenti avviati tra il 1919 e il 1920 nella Repubblica bavarese dei consigli, nella Repubblica sovietica ungherese e nei consigli di fabbrica sorti a Torino durante il biennio rosso. Quanto ai Soviet degli operai e dei contadini, sui quali avrebbe dovuto reggersi la Russia rivoluzionaria, non fu necessario attendere Stalin perché venissero svuotati di ogni contenuto dalla politica accentratrice di Lenin.
Se poi, infine, si volesse ritornare indietro nei millenni a quella che fu senza dubbio la più longeva tra le esperienze di democrazia diretta, l’esclusione di donne e schiavi dalla partecipazione al processo decisionale basta di per sé a gettare un’ombra non irrilevante sulla qualità dello stesso modello democratico ateniese.
Un miraggio raggiungibile?
Nella storia del continente europeo lo slancio verso forme di governo basate sui principi della democrazia diretta appaiono direttamente collegate a periodi di crisi generate da eventi bellici o da profonde trasformazioni intervenute sul piano politico, economico e sociale: la crisi dell’età dei tiranni nella Grecia classica, la crisi dell’ordinamento feudale in Italia, la crisi dell’ordinamento monarchico in Francia e Russia, la crisi dell’ordine borghese ottocentesco generata in Europa dalla Grande guerra. Un’ulteriore correlazione può essere evidenziata tra la longevità degli ordinamenti fondati sulla democrazia diretta e le realtà sociali nelle quali venne attuata. Sia la polis ateniese sia i comuni medievali o le piccole comunità di coloni nell’America settentrionale erano infatti realtà sostanzialmente contenute come dimensioni e ancora in fase di sviluppo dal punto di vista organizzativo.
L’espansione territoriale e la crescente complessità dello Stato moderno hanno rappresentato al contrario un limite invalicabile alla diretta partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. Fu la necessità di affrontare con competenza le molteplici e specialistiche tematiche legate alla conduzione dello Stato a portare alla nascita dei politici di professione e dei partiti, incaricati di far funzionare la macchina governativa raccogliendo e rappresentando all’interno delle istituzioni le istanze (così come le tensioni e i contrasti) maturate all’interno del corpo sociale.
La crisi del sistema democratico rappresentativo maturata nell’ultimo scorcio del XX secolo e il pesante deficit di credibilità accumulato dai partiti politici hanno favorito il riemergere di un generale desiderio di democrazia diretta. In molti paesi si è assistito al moltiplicarsi, tanto sul piano nazionale che su quello locale, di petizioni, referendum e iniziative popolari, attraverso le quali è offerta ai cittadini la possibilità di esprimersi su una svariata gamma di argomenti di interesse comune. La tendenza generale pare dunque sempre più orientata verso l’incontro e la convivenza tra i principi della democrazia rappresentativa e quelli della democrazia diretta, un processo che ha da tempo registrato un felice punto di equilibrio in Svizzera, la cui Costituzione prevede fin dalla seconda metà dell’800 varie forme di partecipazione popolare al processo decisionale.
Notevole è stato infine l’impulso offerto al dibattito sullo sviluppo della democrazia diretta dalla diffusone del web, attraverso il quale ha preso corpo una piazza virtuale o, meglio, una rete di piazze capaci di ospitare continui dibattiti e confronti di opinione tra un numero di partecipanti in continua crescita. Secondo alcuni osservatori sarebbe proprio il web la piattaforma da cui partire per il rilancio e la realizzazione di forme di democrazia diretta sempre più compiute. Secondo altri invece, se la democrazia diretta (indipendentemente dagli strumenti utilizzati per realizzarla) dovesse consistere in una riproposizione dell’ideale rousseiano, risulterebbe al giorno d’oggi semplicemente impossibile e sarebbe comunque non auspicabile chiamare l’individuo a esprimersi su tutte le decisioni che lo riguardano. Data la complessità delle società industriali e postindustriali, per svolgere tale compito con un minimo di competenza l’individuo dovrebbe infatti abdicare alla propria dimensione privata a vantaggio di quella pubblica, soffocando così la natura dell’uomo in quella del cittadino. Come ha osservato Norberto Bobbio “l'individuo rousseiano chiamato a partecipare dalla mattina alla sera per esercitare i suoi doveri di cittadino sarebbe non l'uomo totale ma il cittadino totale. E il cittadino totale non è a ben guardare che l'altra faccia non meno minacciosa dello stato totale.”