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E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo dei manipoli,
e l’onda dei cavalli,
e il concitato imperio,
e il celere ubbidir.
[...]
(Alessandro Manzoni, Il 5 maggio)
Parente stretto dell’asindeto e dell’anafora, il polisindeto è una figura che mette in fila le cose quando sono troppe, legandole tra loro per coordinazione. Insomma è la figura della “e”, ma anche del “sia... sia...”, del “né... né...”. Ariosto, nel settimo canto dell’Orlando fuorioso, fa un polisindeto con la “o”: «Avea in ogni sua parte un laccio teso/o parli o rida o canti o passo muova».
È una figura che, oltre a mettere in relazione, e sullo stesso piano d’importanza, le cose che elenca, crea ritmo: rispetto all’asindeto ha un tono più concitato, e conferisce alle frasi una certa intensità emotiva. Sembra che chi parla, o scrive, o recita per polisindeto, sia molto preso dall’idea che al suo interlocutore arrivi, in modo chiaro, ed esplicito, e inequivocabile, ogni elemento della frase.
(Crediti immagine: EliFrancis, Pixabay)